sabato 26 aprile 2014

MAGAZZINO 18 - SIMONE CRISTICCHI



In un Teatro Nuovo gremito, Simone Cristicchi ha presentato il suo musical civile, Magazzino 18, grazie all’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia che ha voluto offrire lo spettacolo a tutti i suoi soci, ai loro familiari e alla cittadinanza di Verona. Un modo nuovo e forte per celebrare la Giornata del Ricordo, istituita dieci anni fa per ricordare le vittime dei massacri delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata. Il Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947 assegnava alla Jugoslavia l’Istria e buona parte della Venezia Giulia, ponendo gli italiani, che abitavano quelle terre, di fronte a una scelta forzata di andare o di restare. In circa trecentocinquantamila decisero di partire e molti, nella speranza di poter presto tornare, lasciarono le loro masserizie nei magazzini del Porto Vecchio di Trieste. “Oggi il Magazzino 18 è un cimitero di oggetti dove riposa, non in pace, la vita quotidiana di migliaia di esuli”. Un “cimitero” riportato in vita grazie alla magia del teatro dove l’artista, per raccontare questa tragedia, fa dialogare tra loro il presente e il passato grazie a due personaggi impersonati da lui stesso: l’archivista Persichetti e lo spirito delle masserizie. L’umile funzionario romano, un po’ faceto un po' burocrate, inviato da Roma per fare l’inventario degli oggetti del magazzino, dà voce all’inconsapevole ignoranza popolare che nulla conosce della tragedia istriana. Mentre la voce lirica dello spirito delle masserizie cerca di aiutare l’ignaro archivista a prendere coscienza della tragedia che si è consumata in queste terre, facendo rivivere gli oggetti legati alle tante storie di donne, uomini, vecchi e bambini: dal sopravvissuto alle foibe alla piccola Marinella morta di freddo in uno dei campi profughi allestiti dall’Italia, per accogliere gli esuli d’Istria. In questo viaggio nella storia perduta, Persichetti, e lo spettatore con lui, vivono una vera e propria catarsi che porta ciascuno verso una coscienza collettiva più consapevole, pacificatrice delle ferite ancora aperte della nostra storia. Una coscienza collettiva che anziché seguire le ideologie e i luoghi comuni di tanti “sapientoni”, ha l’umiltà di ascoltare una ad una le storie di coloro che hanno vissuto e pagato, a diverso titolo, per questa tragedia. Alla fine di questo viaggio nella memoria, il semplice, onesto e diligente Persichetti decide sì di archiviare tutto, tranne una pratica “che ne vale però trecentomila”. Vuole rispondere alla signora Biasiol, figlia di esuli istriani, che chiedeva notizie degli oggetti appartenuti ai propri genitori. Una delle tante lettere rimaste senza risposta. Così l’archivista, rammaricandosi per il ritardo, decide di rispondere a nome e per conto del ministero degli Interni della Repubblica, pregando la signora di accettare “le nostre più sentite scuse”. Lo spettacolo si chiude sulle note di una canzone che alterna recitativo e musica scandendo un nome e una storia per ogni sedia: simbolo di una quotidianità spezzata e spazzata via perché  “Non è un’offesa che cede al rancore / non è ferita da rimarginare / è l’undicesimo comandamento: / “Non dimenticare”…
Nonostante Cristicchi sia stato accusato di revisionismo e che il suo spettacolo sia stato addirittura interrotto (non a Verona) da giovani contestatori, l’artista cerca di raccontare l’esodo istriano creando le condizioni culturali perché  "ognuno scenda a patti co’ li scheletri ne l’armadi sua”. Cristicchi, sfruttando al massimo la magia del teatro, riesce a tenere desta l’attenzione dello spettatore grazie a un’alternanza continua ed equilibrata tra narrazione storica e lirica, ora impetuosa, ora leggera, cadenzata da musica, cori di voci bianche, monologhi struggenti o esplosivi come le canzoni che si succedono, il tutto accompagnato da foto e filmati di repertorio. Tanta l’emozione in sala: il pubblico, commosso, si è alzato per applaudire Simone Cristicchi, il coro delle voci bianche e gli artisti  che hanno contribuito alla riuscita dello spettacolo (Jan Bernas, il regista Antonio Calenda). Un gesto per esprimere tutta la gratitudine per la memoria finalmente ritrovata. 

di Maddalena Cavalleri
(recensione pubblicata su Verona Fedele a febbraio 2014)

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