lunedì 21 aprile 2014

ANNA KARENINA - LEV TOLSTOJ





Anna Karenina di Lev Tolstoj, pubblicato nel 1877, è riconosciuto come uno dei capolavori della letteratura di tutti i tempi.
La storia di Anna Karenina, coniugata con Aleksjéj Aleksàndrovič Karenin, e del suo amore tormentato per il giovane ufficiale conte Alekséj Kirillovič Vronskij è nota: per lui Anna decide di lasciare il marito e il figlio di otto anni Serjòža, una scelta che la porterà a vivere un’ umiliazione a tutto campo che ella risolverà con il suicidio.
Parallela alla storia d’amore tormentata e infelice di Anna e Vronskij si dipana quella tra  Levin e Kitty che invece proprio nel matrimonio vede una serenità di vita possibile. I quattro personaggi sono legati tra loro da legami familiari, di amicizia o sentimentali: Kitty (Katerina Aleksandrovna Ščerbackaja) è la giovane diciottenne che il giovane Vronskj, aristocratico ufficiale in carriera, frequenta e “inconsapevolmente” corteggia prima di incontrare Anna; il timido trentaquattrenne Konstantin Dmitrič Levin è invece amico, sin dalla giovinezza, del fratello della Karenina, il principe Stepàn Arkàdjevič Oblonskj, (Stiva) che ha sposato la sorella maggiore di Kitty, Daria Alexandrovna (Dolly) dalla quale ha avuto sette figli.
La celeberrima frase che dà l’avvio al libro “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. “ accende i riflettori a Mosca nell’interno della casa di Stiva e Dolly in piena crisi matrimoniale, mentre Anna, in viaggio da Pietroburgo, sta andando in soccorso al fratello Stiva per mediare e convincere la cognata Dolly a non chiedere il divorzio. Anna ancora non conosce Vronskij ma sarà proprio la stazione dei treni a divenire un luogo di incontro ma anche di morte, luogo segnato sin dagli inizi da una premonizione che scandirà l’intera vicenda, fino al suo tragico epilogo, quando Anna troverà la morte lasciandosi cadere sotto un treno.

Tolstoij dipinge un grande affresco e in esso un trittico di coppie dove Stiva-Dolly non solo sono funzionali a legare i personaggi principali tra loro, ma offrono al lettore due ritratti stupendi e un altro esempio di matrimonio, dove l’amore extraconiugale del marito viene tollerato, suo malgrado, dalla moglie, la quale riverserà il proprio amore sui figli.
Anna e Dolly, cognate, entrambe sposate legate da un grande affetto, eppure così diverse e i cui destini si snodano tra ferite e sofferenze che sono la spia della condizione femminile del tempo. Agli inizi del romanzo è Anna ad andare in soccorso alla cognata Dolly ferita dal tradimento del marito, verso la fine sarà Dolly a ricambiare l’affetto di una visita ad Anna, rimasta esclusa dalla buona società per aver lasciato il marito e il figlio ed essere andata a convivere con Vronskij.
Dolly è sinceramente affezionata alla cognata che, a differenza di lei, ha avuto la forza di seguire il proprio cuore: invidia Anna proprio perché ha avuto il coraggio di fare ciò che lei invece non ha saputo fare. Durante il viaggio verso Vozdvíženskoje, dove Anna si è stabilita con Vronskij, i pensieri le si affastellano: ripensa alla sua vita e vorrebbe essere al posto di Anna, proietta su di lei ogni felicità e realizzazione possibili. In lei vede ciò che le sembra mancare alla propria vita; durante il viaggio Dolly fantastica, costruisce castelli ma poi, una volta giunta da Anna, si rende conto della situazione e della sua sofferenza. Ha fretta di rientrare a casa dove una volta arrivata dimenticherà “quell’indefinito senso di scontentezza e di disagio che aveva provato da loro”.

Tolstoij è magistrale nel dipingere tutte le contraddizioni, i lati chiari e oscuri dei suoi personaggi. Se ci concentriamo su ciascuno di loro, emergono volti e voci pieni di vita che il lettore attento ascolta e comprende. E a legger bene anche il marito ha la sua storia e i suoi dolori e il suo sentire. Lo stesso marito della Karenina, Aleksjéj Aleksàndrovič è cresciuto orfano, educato da uno zio, un burocrate importante, è stato instradato verso la carriera del funzionario governativo. Occupa uno dei posti più importanti nel ministero cui appartiene il tribunale. Prima di sposarsi, trascorre una vita un po’ in solitudine, senza coltivare né amicizie né relazioni. Si sposa con la giovane Anna per insistenza della zia di lei che “ l’aveva fatto incontrare […] con sua nipote e lo aveva messo nelle condizioni di dichiararsi o di andar via dalla città …. Ma la zia di Anna gli aveva già fatto dire per mezzo di un conoscente che lui aveva già compromesso la ragazza e che un dovere d’onore lo obbligava a far la proposta di matrimonio. Lui aveva fatto la proposta e aveva dato alla fidanzata e alla moglie tutto il sentimento di cui era capace. Karenin era un uomo di fatto congelato, che avevo represso le proprie emozioni e sentimenti. “Aleksjéj Aleksàndrovič aveva vissuto e lavorato per tutta la sua vita negli ambienti impiegatizi, che avevano a che fare coi riflessi della vita. E ogni volta ch’egli si imbatteva nella vita stessa, se ne scostava”. Egli veste i panni del cristiano bigotto che si è evoluto e irrigidito verso una fede “superstiziosa”. Quando, infatti, egli dovrà decidere se concedere o meno il divorzio alla moglie, si rivolgerà per chiedere consiglio sul da farsi, a un balordo e falso guaritore francese che finge di parlare nel sonno ma che in realtà sa ben spillare ai ricchi aristocratici russi fior di quattrini, ospitalità e onori.
Alekseij, abbandonato dalla moglie, è un uomo ferito e sa quanto la società sia spietata. Sa che ciò che la società gli rimprovera è proprio il suo dolore: “Sentiva che non poteva allontanare da sé il disprezzo della gente, perché quel disprezzo non derivava dal fatto che egli fosse cattivo (in questo caso avrebbe potuto sforzarsi di essere migliore), ma dal fatto che lui era infelice in modo vergognoso e ripugnante. Sapeva che per questo, per il fatto stesso che il suo cuore era dilaniato, loro sarebbero stati spietati nei suoi confronti. Sentiva che la gente lo avrebbe annientato, come i cani dilaniano un cane ferito che guaisce dal dolore. Sapeva che l’unica salvezza dalla gente stava nel nascondere le sue ferite, e questo aveva inconsciamente tentato di fare due giorni, ma adesso non si sentiva più le forze di continuare questa impari lotta. Karenin sa bene che la propria  “debolezza” può essere fonte di disprezzo.

Karenin e Anna. Un matrimonio senza amore, dove nessuno si sente amato. Ma Anna non solo non si sente amata dal marito, ma nemmeno da Vronskij, l’uomo per cui ha sacrificato tutto. “Cosa cercava egli in me? Non tanto amore quanto soddisfacimento di vanità. […] Sì, in lui c’era il trionfo del successo di vanità. S’intende c’era anche l’amore, ma la parte maggiore era l’orgoglio del successo. Egli si vantava di me. Adesso è passata.” Il terrore di essere abbandonata dal giovane ufficiale non fa che aumentare la sua ansia e la sua disperazione. Percependo se stessa come il problema e obnubilata dalla vendetta nei confronti dell’amante da cui si sente abbandonata, Anna decide di togliersi la vita. Il grande dramma di Anna è questo vuoto e mancanza di amore che Tolstoij ci restituisce in modo magistrale, attraverso i pensieri di Anna nei confronti del marito: “Ha ragione! Ha ragione!” si disse. “Si capisce, lui ha sempre ragione, lui è cristiano, lui è magnanimo! Sì, che uomo vile disgustoso! E questo nessuno all’infuori di me lo capisce e lo capirà; e io non posso spiegarlo. Dicono: è un uomo religioso, morale, onesto, intelligente; ma non hanno visto quello che ho visto io. Loro non sanno che per otto anni lui ha soffocato la mia vita, ha soffocato tutto ciò che c’era in me di vivo, che mai una volta ha pensato che io sono una donna viva che ha bisogno d’amore. Non sanno come mi offendeva a ogni passo e rimaneva soddisfatto di sé. E io non mi sono sforzata con tutte le forze di trovare una giustificazione alla mia vita? Ma è venuto il momento in cui ho capito che non potevo più ingannare me stessa, che ero viva, che non avevo colpa se Dio mi ha fatto così, che avevo bisogno di amare e di vivere. E adesso? Mi avesse uccisa, avesse ucciso lui, avrei sopportato tutto, perdonato tutto, ma no, lui….”

Le due storie d’amore “protagoniste” Anna-Vronskij e Levin-Kitty si fanno da contro canto l’una con l’altra, tutti e quattro i personaggi sono alla ricerca di un amore che li appaghi, ma ciascuno parte da premesse diverse e reagisce alla mancanza d’amore in modo diverso. Guardare a queste coppie secondo lo schema: l’amore-tormentato- è-bello- e-se-non-è–tormentato-vuol-dire-che–non-è–vero-amore-mentre-l’amore-coniugale-è-noioso-e-scontato sarebbe non rendere giustizia al grande affresco dipinto da Tolstoij, così profondo e magistrale nel restituire al lettore un’introspezione dei personaggi così attuale, nonostante i grandi cambiamenti e le profonde trasformazioni che la società e la condizione femminile hanno subito nei secoli.
Durante uno dei suoi monologhi interiori, Anna guarda alla vita da una prospettiva che non lascia spazio: “Non siamo forse tutti gettati nel mondo soltanto per odiarci a vicenda, e poi tormentare noi stessi e gli altri?” Agli inizi della sua relazione con Vronskij, Anna è convinta di non poter scegliere tra il suo amante e suo figlio (come suo marito cerca di imporle):“Sentiva che quella posizione di cui godeva nel mondo, e che al mattino le era sembrata così poco importante, che quella posizione le era cara, che lei non avrebbe avuto la forza di cambiarla nella posizione ignominiosa della donna che abbandona il marito e un figlio e si unisce con un amante; che per quanto si fosse sforzata, non sarebbe stata più forte di se stessa. Non avrebbe mai provato la libertà dell’amore ma sarebbe rimasta per sempre una moglie colpevole, sotto la minaccia incessante d’essere mascherata, una moglie che ingannava il marito per un legame vergognoso con un altro uomo, che nulla legava a lei, con il quale non poteva vivere una vita non doppia. Sapeva che così sarebbe stato, e nello stesso tempo ciò era così orribile che non poteva neppure immaginarsi come sarebbe andata a finire. E piangeva, senza trattenersi, come piangono i bambini puniti.”
Tuttavia l’amore per Vronskij farà allontanare Anna dal suo amato Serjòža, e le farà compiere ciò che fino a poco tempo prima le sarebbe parso inconcepibile: “Anch’io pensavo di volergli bene [a Serjòža] , e mi commovevo dinanzi alla mia tenerezza. E ho vissuto senza di lui, e l’ho scambiato con un altro amore e non mi sono lamentata di questo baratto, finché mi accontentavo di quell’amore.

Anna e Lévin sembrano percorrere due strade contrarie, opposte.
Anna è delusa dal proprio matrimonio che le è stato, comunque, imposto dalla sua condizione: è  la zia ad aver combinato tutto. Ma è anche delusa dal suo amante. La sua spirale emotiva e sentimentale è autodistruttiva. Non è così per Lévin che riesce, invece, a costruire negli anni una vita che sente propria.
La ricerca di Lévin dell’amore e della felicità non è tranquilla e lineare, al contrario essa segue un percorso accidentato, fatto di delusioni, paure. Ma per Lévin, uomo, sembra essere “più semplice”, sicuramente è diverso. Egli si allontana dalla società mondana, si ritira in campagna, va alla ricerca di una vita più vera, e in quanto uomo, lo può fare: è un possidente terriero, ha un nome di famiglia importante, insomma ha le spalle e le condizioni per poterselo permettere.
Quando Lévin si innamora della giovane Kitty infatuata di Vronskij, la va a chiedere in sposa. Ma Kitty, sebbene Lévin sia un buon partito, è  soggiogata dal mondano Vronskij (come sua madre lo è del patrimonio!). Eppure Levin, anche dopo il rifiuto di Kitty alla sua proposta di fidanzamento “si sentiva se stesso e non voleva essere un altro. Egli adesso voleva solo essere migliore di com’era prima. In primo luogo da quel giorno egli decise che non avrebbe più sperato una felicità straordinaria, come gliela doveva dare il matrimonio, e in conseguenza di ciò non avrebbe disdegnato tanto il presente. In secondo luogo, egli non si sarebbe mai più permesso di lasciarsi trascinare dalla sconcia passione, il cui ricordo lo aveva tormentato tanto quando era in procinto di far la proposta di matrimonio.
È la reazione di Lévin al rifiuto di Kitty ad indicargli una strada da percorrere. Osserva i matrimoni altrui, e mai vorrebbe fare la stessa fine. Per lui, è convinto, sarà diverso. Ma quando, finalmente, riuscirà a sposare Kitty, dopo averla tanto attesa e sognata, egli stesso non sfuggirà al sentimento di delusione nei confronti della vita matrimoniale: “Era felice, ma affatto diversamente da come se l’aspettava. A ogni passo trovava una delusione dei sogni di prima e un nuovo fascino inaspettato. Era felice, ma, entrato nella vita familiare, vedeva a ogni passo che la cosa era completamente diversa da come se l’era immaginata.” Ciò nonostante, la vita matrimoniale di Lévin, nel tempo troverà la sua realizzazione e pienezza, proprio nell’accettazione delle fragilità e dell’imperfezione. Lévin continuerà anche la sua ricerca spirituale, continuerà ad interrogarsi sul senso della vita, sull’esistenza di Dio, sul bene e il male.
Tolstoij chiuderà il grande affresco proprio con il pensiero di Levin, riconciliato nel profondo non solo con il proprio matrimonio ma con l’imperfezione della condizione umana, alla luce della fede: “Questo nuovo sentimento non mi ha cambiato, non mi ha reso felice, non mi ha rischiarato di colpo, come sognavo; così come non lo ha fatto il sentimento per mio figlio. Anche qui non c’è stata nessuna sorpresa. Si tratti o no della fede – di preciso non so cosa sia – questo sentimento è entrato in me attraverso le sofferenze in modo egualmente inavvertito e si è fermamente stabilito nella mia anima.
Mi arrabbierò egualmente con il cocchiere Ivan, egualmente discuterò, esprimerò a sproposito i miei pensieri, ci sarà sempre lo stesso muro fra il sacrario della mia anima e gli altri e perfino con mia moglie, la brontolerò egualmente per lo spavento che ho provato, e ne sentirò rimorso, egualmente non capirò con la ragione perché prego e potrò pregare, ma cha la mia vita, qualunque cosa accada, in ogni suo momento, non solo non è priva di senso come prima, ma ha un significato sicuro che le deriva dal bene su cui io posso fondarla.”

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