martedì 4 dicembre 2007

FRANÇOIS-RÉNÉ DE CHATEAUBRIAND: UN ARISTOCRATICO A GERUSALEMME - 1806 (1^parte)





Réné-François de Chateaubriand (1768-1848) a Gerusalemme nell'autunno del 1806

Réné-François de Chateaubriand (1768-1848), un aristocaratico bretone, costretto a vivere, suo malgrado, le profonde trasformazioni del XVIII° e XIX° secolo, si reca a Gerusalemme nell’ottobre del 1806. Ha 38 anni, ha già compiuto diversi viaggi sia per piacere, sia perché costretto: ha visitato l’America, la Francia meridionale ed è fuggito in esilio a Londra (1793), dopo la Rivoluzione Francese, dove ha vissuto per sette anni sentendosi uno straniero in un Paese di cui non conosce la lingua. ( e dove scriverà Essai historique, politique et moral sur les révolutions anciennes. )
Chateaubriand è un aristocratico che si è visto spazzare via tutto un suo mondo e male si adatta a questa nuova situazione. Coltiverà un atteggiamento solitario e meditativo, la natura sarà la sua interlocutrice fidata e spenderà molte delle sue energie a difendere i valori cristiani che la rivoluzione, ai suoi occhi, ha voluto demolire. Tutta la sua opera infatti, sarà caratterizzata da questa ricerca che approderà in una vera e propria apologia del cristianesimo.
Nella sua vita di letterato, viaggiatore e ambasciatore, non poteva quindi mancare il viaggio dei viaggi: il pellegrinaggio al Santo Sepolcro. Quando racconterà delle persecuzioni, della povertà e delle difficoltà che devono affrontare i religiosi, custodi dei luoghi santi, paragonerà il loro vivere sotto il pascià ottomano come il proprio vivere sotto il Terrore.
Investito del ruolo di scrittore ufficiale dallo stesso Ministro degli Esteri Talleyrand, è il primo scrittore francese che dopo la Campagna di Egitto di Napoleone del 1798, intraprende un viaggio verso l’Oriente. Si tratta quindi di un pellegrino di eccezione che, già prima di partire è atteso in patria dalla celebre rivista letteraria Mercure de France, per la pubblicazione delle sue impressioni di viaggio. Nel 1811, a cinque anni dal suo rientro, vedrà le stampe il suo Itinéraire de Paris à Jérusalem[1], che più che un resoconto di viaggio, è una autobiografia, scrive lo stesso autore: “Je prie donc le lecteur de regarder cet itinéraire moins comme un voyage que comme des mémoires”.

Ma quali sono principalmente le ragioni di questo viaggio? Sicuramente una la troviamo nella Campagna di Egitto che ha dato il via a tutti quei viaggi e a quelle aperture verso l’Oriente tipiche del XIX secolo; non a caso, Chateaubriand includerà nel suo percorso la tappa a Rosette, dove si trova la pietra, da poco scoperta, che riporta geroglifici che rimarranno indecifrabili fino al 1822, ma non solo. Potremmo affermare, secondo Jean-Claude Berchet (curatore della recente edizione francese Gallimard), che altre due sono le ragioni del viaggio. Una di natura prettamente letteraria: l’opera che sta scrivendo: Les Martyrs de Dioclétien (che diventerà in seguito Les Martyrs ou le Triomphe de la religion chrétienne pubblicato nel 1809), lo spinge a recarsi sui luoghi della Cristianità. L’altra, di natura del tutto sentimentale: nonostante egli sia un uomo regolarmente sposato, da buon cavaliere romantico, intriso di letteratura cavalleresca, arde per andare a trovare la sua amata, Madame de Noailles, che si trova a Seviglia; forse, un viaggio così organizzato, che lo vede partire da Trieste per passare dalla Grecia, Turchia, Palestina, fare tappa a Gerusalemme, Egitto (Rosette e Cairo), Tunisia per poi raggiungere l’Andalusia dove si trova l’amata, potrebbe distrarre la buona società francese dalle vere intenzioni di chi lo compie. Ma come spesso accade in questi casi, una ragione non esclude l’altra.
Certo è che egli dovrà affrontare il suo grande viaggio con i mezzi dell’epoca, per cui molte sono le incertezze che incombono sulla navigazione – il mare Mediterraneo è ancora sotto il controllo degli Inglesi - e nonostante Chateaubriand parta per l’Oriente con meno pompa magna di Lamartine, l’altro poeta romantico francese, egli dovrà risolvere il problema del finanziamento: il viaggio è comunque costoso, regali ai conventi, spostamenti, guide, traduttori etc…; la vendita di un immobile della moglie e, in minor parte, le sue pubblicazioni, sembra che l’abbiano aiutato nell’impresa.
In questo grande viaggio, secondo Jean-Claude Berchet, ciò che colpisce il lettore contemporaneo, è la mancanza di interesse per la vita vera del posto e della sua gente. Una spia rivelatrice di questo atteggiamento è il suo soggiorno in Egitto. Vi arriva in pieno Ramadam e sul Ramadam nemmeno una parola! E’ lo stesso Chateaubriand che ingenuamente a un turco che gli chiedeva le ragioni del suo viaggio, gli dice: “Gli risposi che viaggiavo per vedere i popoli e soprattutto i Greci che erano morti. Tutto ciò lo fece ridere: mi rispose che poiché ero venuto in Turchia, avrei dovuto imparare il turco[2]
Dell’atteggiamento culturale di Chateaubriand, troviamo un’analisi acuta e dettagliata nel saggio di Edward Said Orientalismo, per l’intellettuale palestinese, il viaggiatore-pellegrino francese “era giunto in Oriente come una figura costruita, non come una persona autentica. Per lui Bonaparte era l’ultimo dei crociati; ed egli stesso sarebbe stato l’ultimo francese a lasciare la propria patria per recarsi in Terra Santa con le idee, i propositi e i sentimenti dei pellegrini delle epoche passate ’ ”[3]
Anche ciò che egli annota nel suo Itinéraire, all’arrivo e alla partenza da Gerusalemme sono una spia rivelatrice di un mondo che porta con sé. Mentre si sta avvicinando a Gerusalemme, egli incontra dei piccoli beduini che marciano al grido di “En avant! Marche!” – la campagna d’Egitto ancora risuona nella memoria della gente - e rimane estasiato nel vedere come questi giovanissimi abitanti del deserto, si divertano ad imitare i grandi soldati francesi, ciò lo riempie di orgoglio e gli regala una gioia simile a quella che deve aver provato, a suo dire, Robinson Crusoe, quando per la prima volta, ha sentito parlare il suo pappagallo. Sarà sul ricordo di questi piccoli beduini arabi che concluderà le pagine del suo itinerario Parigi-Gerusalemme, mentre si rivolge verso l’Europa, in quanto il suo viaggio proseguirà verso Tunisi e poi per la Spagna, egli spera dal profondo del cuore che quegli uomini, mentre monteranno la guardia, diranno ancora “En avant! Marche!”
Lo stesso Said scriverà, in parte citando Chateaubriand stesso: “Per una figura così accuratamente costruita come Chateaubriand l’Oriente era una tela decrepita, in attesa dei suoi interventi restaurativi. L’arabo d’Oriente era un ‘uomo civile ricaduto nello stato selvaggio‘ (cita Chateaubriand): nessuna meraviglia, quindi, che, osservando gli arabi sforzarsi di parlare francese, il nobile viaggiatore si sentisse come Robinson Crusoe, stupefatto all’udire il suo pappagallo pronunciare la prima parola[4]
La Palestina e Gerusalemme parlano attraverso le scritture, non c’è l’interesse reale per le persone che vivono su quella terra: tutto è trasfigurato agli occhi del pellegrino francese, l’Oriente, il deserto, il paesaggio, le persone al punto che “se il deserto di Giudea si è chiuso nel silenzio dopo la manifestazione della parola divina, è Chateaubriand a udire quel silenzio, a comprendere il significato, e a restituire la voce al deserto – almeno a beneficio dei suoi lettori.”[5]
Grande lo stupore e la commozione che prova quando scorge in lontananza Gerusalemme: quasi senza fiato e immerso nella santità della terra, ecco cosa scrive:
D’un tratto all’estremità di questo altopiano, scorsi una linea di mura gotiche fiancheggiate da torri quadrate, dietro cui si ergevano alcune sommità di edifici. Ai piedi di queste mura si vede un campo di cavalleria turca, in tutta la sua pompa orientale. La guida gridò: “El Cods!” La Santa! e fuggì al gran galoppo.
Capisco ora quello che gli storici e i viaggiatori riferiscono della sorpresa dei Crociati e dei pellegrini, alla prima vista di Gerusalemme. Posso assicurare che chiunque abbia avuto come me la pazienza di leggere pressappoco duecento relazioni moderne della Terra Santa, le compilazioni rabbiniche, e i passaggi degli antichi sulla Giudea, ancora non conosce nulla. Restai con gli occhi fissi su Gerusalemme, misurando l’ altezza delle sue mura, attirando a sé tutti i ricordi della storia da Abramo fino a Goffredo di Buglione , pensando al mondo intero cambiato dal Figlio dell’Uomo, e cercando invano questo Tempio di cui non resta pietra su pietra. Se vivessi mille anni, non dimenticherò mai questo deserto che sembra respirare con la grandezza di Jehova, e lo spavento della morte
[6].




[1] Chateaubriand, Itinéraire de Paris à Jérusalem et de Jérusalem à Paris, Suivi du Journal de Julien, Gallimard, Folio classique, juin 2005. Edition et commentaires de J.-C. Berchet.
[2] Chateaubriand, Itinéraire de Paris à Jérusalem, op.cit., p. 31.
[3] Edward Said, Orientalismo, Feltrinelli 2006, p. 173.
[4] Chateaubriand, Itinéraire de Paris à Jérusalem, op. cit. p. 173.
[5] Chateaubriand, Itinéraire de Paris à Jérusalem, op. cit. p. 175.
[6] Chateaubriand, Itinéraire de Paris à Jérusalem, op. cit. p. 298.

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