sabato 10 novembre 2007

"QUANDO SCRIVO SULLE MADRI E' DI TE CHE SCRIVO"



Il libro di Francesco e l’infinitamente piccolo, è dedicato a Ghislaine Marion, amica di Christian Bobin. Quando il libro viene pubblicato nel 92, Ghislaine non si è ancora ammalata: morirà improvvisamente tre anni più tardi, il 12 agosto 1995, per un aneurisma al cervello. Bobin continuerà a scrivere su di lei. Un anno dopo uscirà presso Gallimard, La plus que vive, un ritratto di Ghislaine scritto con l’inchiostro del dolore, mentre nel 97, egli potrà dare alle stampe il suo diario (Autoportrait au radiateur Gallimard, 97) che inizia il 6 aprile 1996 e si conclude il 21 marzo 1997.
Mi sono sempre chiesta che tipo di rapporto Christian Bobin avesse (e abbia ancora) con Ghislaine. Ho capito, e mi sono convinta leggendolo in tutti questi anni, che non c’è nulla di nascosto se non il pudore. Bobin è limpido, è quello che scrive. A volte – soprattutto in alcuni libri - racconta il suo grande amore per questa donna. Si mette in ascolto. Impara da lei. La osserva. Esce da se stesso per accoglierla. Un cammino interiore che lo porta a crescere giorno per giorno. Un esercizio di bene. Quotidiano e profondo. Penso che egli abbia amato Ghislaine con tutto se stesso, senza chiedere di essere “contraccambiato”. Ghislaine ha avuto tre figli (Hélène, Gaël, Clémence), è stata sposata due volte, ha avuto una vita molto intensa e movimentata. Insegnante di lettere, amica di vecchia data. Si sono conosciuti nel lontano 1979, a casa del suo primo marito quando Bobin aveva 28 anni: da allora, non l’ha più abbandonata.
Ghislaine oggi abita nella vita delle persone che ha amato e che l’hanno amata, ma anche nelle pagine di alcuni libri; così un po’ di lei, del suo amore e dell’amore del suo Christian giunge fino a noi, restituendoci uno sguardo rinnovato verso le persone che amiamo, che abbiamo amato e che non smetteremo mai di amare.
Quando scrivo sulle madri, nei miei libri, e scrivo quasi sempre di loro, è di te che scrivo. Sei una madre perfetta, e preciso: una madre perfetta è quella che come te, dona il suo amore senza calcolo, senza aspettarsi il contraccambio, e soprattutto vive solo per i suoi figli, vive anche altrove, vive altri amori, è pienamente presente in ogni gesto o in ogni parola, allô mon doudou*, ed è immediatamente altrove, o se vogliamo, le madri migliori sono quelle che il mondo chiama cattive madri, quelle che pensano solo ai loro figli, o se vogliamo ancora, le madre migliori sono quelle che non dimenticano di essere anche, con altrettanta intensità, donne amanti, figlie, non so come far capire una cosa così semplice, non so come spiegare l’evidenza, ciò che sono le madri migliori, una sola frase può dirlo e si addice all’insieme della tua vita così come all’arresto della tua morte: si danno e se ne vanno »
(*Mon doudou è l’espressione con la quale Ghislaine chiamava sua madre, quando le telefonava tutte le sere verso le otto e mezza)
(Più viva che mai, San Paolo 1998, pp. 16-17)

Non doveva esser facile averti per madre. Tutte le madri sono impossibili – sia che amino troppo sia che amino abbastanza. In materia non esiste una giusta misura. Hai dato tutto ai tuoi figli. Hai persino dato armi per resistere alla tua follia d’amore, per trovare quello spazio, in se stessi, che era loro necessario, dove nessuno ha il diritto di entrare – e soprattutto una madre.
(Più viva che mai, San Paolo 1998 p. 40)
Ma chi è Ghislaine per Christian Bobin?
Non vorrei sentirmi una “guardona”, ma mi sono spesso interrogata sulla natura del loro rapporto e mi sono convinta che entrambi abbiano vissuto un’amicizia profonda all’insegna della gratuità più totale. Resto sulla soglia, non voglio indagare e nemmeno mi interessa di per sé. Scrivo e mi soffermo su questo perché Ghislaine è spesso presente nelle pagine di Bobin: una “presenza pura”, umana e dolce ma non idealizzata, anzi, molto, molto umana.
[…] la tua figlia maggiore di quindici anni, Hèlène, sai come si è a quell’età e come si va dritti all’essenziale, mi dice durante un viaggio quanto trova deprimenti, convenzionali, le lapidi sui sepolcri, e mi confida un suo desiderio, mettere un’iscrizione: “A mia madre che mi faceva spesso arrabbiare” – e scoppiamo a ridere, io e lei, naturalmente non è possibile, il marmista non accetterebbe un ordine del genere e la gente inorridirebbe a leggere una cosa così, ma so che tu ti rallegreresti per questa parola d’amore, non abbiamo sempre bisogno di parole dell’amore per parlare dell’amore, abbiamo bisogno di gravità e leggerezza, non del serioso, soprattutto non del serioso, gravità e leggerezza, lacrime e risa.
(La plus que vive, Gallimard 1996, p.47
Più viva che mai
, San Paolo 1998 p.29-30)
Tre giorni prima di morire, sei ancora a Saint-Ondras, mi proponi una passeggiata fino al ponte rosso. Quel ponte è a trecento metri dalla casa. Di rosso ha solo il nome. E’ una passeggiata che fai spesso quando hai poco tempo. Camminando ti informo che ho intenzione di scrivere un libro su di te, tu sorridi, io ti dico che ho già la prima frase: “Se benedico questa vita, è perché tu ci sei”. Ti fermi, mi chiedi: e se io non ci fossi più, in questa vita, cosa scriveresti? La risposta mi viene prima che ci rifletta e la lascio venire senza controllo, non mi soddisfa, ma non importa: per principio lascio le cose venire in disordine nella parola, così come sono. Ti dico: se un giorno non fossi più in questa vita continuerei a benedirla e ad amarla. Allora scoppi a ridere e mi dici, radiosa: va benissimo così, è proprio meglio così, promettimi di scrivere la frase per intero quando farai questo libro, altrimenti farai della letteratura e non bisogna mai fare della letteratura, bisogna scrivere e non è la stessa cosa, promettimelo. Te lo prometto e parliamo subito d’altro – la morte che aveva appena attraversato l’aria sembrava così lontana che l’avevamo già dimenticata.
(Più viva che mai, San Paolo 1998, p.68)

Più di dieci anni dopo, Bobin rimarrà fedele a questa promessa. In Une bibliothèque de nuages, (Lettres vives 2006), vive e scrive una profonda riconciliazione con la morte. Oltre a Ghislaine ha perso il padre e altri cari amici, tra cui lo scrittore, cui era molto legato, Jean Grosjean. La sua libreria si è rarefatta. Si è lasciato attraversare dal dolore senza porre alcuna riserva.
Ghislaine raggiungeva il mio cuore con mille primavere, ma lo ha raggiunto nel modo più puro quando vidi arrivare la sua bara davanti alla chiesa spoglia di Saint-Ondras. Ogni bara è quella di un bambino.
(Une bibliothèque de nuages, Lettres vives p. 36)
Un giorno, senza pensare a nulla, guardai il tiglio fiammeggiante davanti alla finestra e appresi che G. aveva smesso di morire. Erano trascorsi tre anni dal funerale. Gli alberi sono dei postini meravigliosi.
(Une bibliothèque de nuages, Lettres vives p. 29)
La morte e la vita sono così annodate l’una all’altra che non capisco perché si siano inventate due parole per dire una sola accecante vertigine.
(Une bibliothèque de nuages, Lettres vives p. 8)

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