mercoledì 21 novembre 2007

Christian Bobin: SOUVERAINETE DU VIDE


Bobin pubblicava Souveraineté du vide, nel lontano 1985 (Fata Morgana), due anni più tardi nel 1987, usciva sempre con la stessa casa editrice, Lettres d’or (entrambi mai pubblicati in Italia).
Oggi, sul mercato francofono, ritroviamo Souveraineté du vide (è un libro sottile di un centinaio di pagine) nell’edizione Gallimard, uscita nel 1995, che ripropone le due opere insieme.
Lo stesso titolo ci introduce nel mondo di Bobin. La trama, se di trama si può parlare, potrebbe essere resa dalle parole che continuamente ritornano: leggere, amare, scrivere, la pagina bianca, inchiostro, luce, infanzia, solitudine, mancanza, attesa. Parole che non solo si irradiano nella sovranità del vuoto, ma che scintillano in tutta l’opera di Bobin. Scrivere, dono, gratuità sono i sudditi di questo vuoto – sovrano della scrittura.
Ma di quale vuoto si tratta? Non è il vuoto dato dall'assenza e dalla perdita di una persona amata. Bobin, mentre scrive queste pagine (siamo negli anni 80), non ha ancora conosciuto il vuoto causato dalla morte. Qui, ci parla di quel vuoto necessario, che ognuno deve fare, per entrare nella propria vita e per poter accostarsi all’altro senza invaderlo con qualcosa che non gli appartiene; quel "qualcosa" che è spesso dentro di noi e che ci impedisce di accogliere la nostra vera vita. Lo scrittore, per primo, deve conoscere questo vuoto, attarversarlo nel silenzio. Tacere prima di.

Se taire: l’avancée en solitude, loin de dessiner une clôture, ouvre la seule et durable et réelle voie d’accès aux autres, à cette altérité qui est en nous et qui est dans les autres comme l’ombre portée d’un astre, solaire, bienveillant.
Tacere: progredire in solitudine, lontano dal disegnare una chiusura, apre la sola e durevole e reale via d’accesso agli altri, a questa alterità che è in noi e che è negli altri come l’ombra portata da un astro, solare, ben disposto.
(Souveraineté du vide, Fata Morgana 1985-Gallimard 1995, pag. 53)

Un tacere che è necessario allo scrivere, perché ne è fondamento. Un esercizio di attenzione e di ascolto profondo. Una mistica del libro. Non la mistica di un libro religioso, ma di un libro pienamente laico. Una voce che sa donare. Sì, perché di dono si tratta. Un dono che avvolge l’ esistenza. Una bontà dello sguardo che non vuole edulcorare la realtà, ma che vuole, come un guardiano, continuare a svelarne la luce, assorbita dal buio della sofferenza e del male. Né morale né insegnamento ma dono. Puro dono.
Souveraineté du vide inizia con un corsivo rivolto a un “vous” che anticipa le tre lettere (i tre capitoletti) che compongono questo librino. L’ “altro”, dunque, per Bobin è fondamentale.
È tutto.
La prima lettera (o il primo capitoletto) inizia così:

Les livres. Ils sont sur ma table Je les ai ouverts, au hasard. Je les ai feuilletés. Un apaisement est venu, dont je ne savais pas avoir besoin. Un bonheur de lire, antérieur à l’acte même de lire. Une lumière dérobée par ce premier regard, distrait, rapide. Une lumière anticipant la lumière enclose dans ces pages. Puis j’ai refermé les livres. Plus tard . La lecture viendrait plus tard, bien plus tard. La nuit convenait mieux, pour lire, la nuit convient mieux, cette égalité enfin établie entre l’obscurité du dedans et l’obscurité du dehors. Je suis parti. Je suis allé me promener, j’ai vu des gens. L’idée m’est venue de vous écrire une lettre, cette lettre, l’idée d’une lettre infinie, sans suite. Interrompue, souvent, comme est interrompue la lecture, comme est révoqué l’état de lecteur, l’état d’absence, par le bruit d’une porte qui se ferme, par l’avancée soudaine de l’aube, par le désastre du sommeil.(Souveraineté du vide, Fata Morgana 1985-Gallimard 1995, pag. 15 Incipit del libro)

I libri. Sono sul mio tavolo. Li ho aperti, a caso. Li ho sfogliati. E’ giunta una quiete: non sapevo di averne bisogno. Una felicità di leggere, anteriore all’atto stesso di leggere. Una luce carpita da questo primo sguardo, distratto, rapido. Una luce che anticipa la luce racchiusa in queste pagine. Poi ho richiuso i libri. Più tardi. La lettura sarebbe giunta più tardi, molto più tardi. La notte era più adatta per leggere, la notte è più adatta, quest’uguaglianza finalmente stabilita tra l’oscurità dentro e l’oscurità fuori. Sono uscito. Sono andato a passeggiare, ho visto della gente. Mi è venuta l’idea di scrivervi una lettera, questa lettera, l’idea di una lettera infinita, senza nesso. Interrotta, spesso, come è interrotta la lettura: come viene revocato lo stato del lettore, lo stato di assenza, dal rumore di una porta che si chiude, dall’irrompere improvviso dell’alba, dal disastro del sonno.
(Traduzione di Maddalena Cavalleri con il sostegno psicologico, affettivo e letterario di Lorenzo Gobbi)


Poche righe più in là, leggiamo…..

L’enfant, le lecteur, pris dans l’apprentissage insomniaque de la vie en société , tenu dans cette bêtise générale par l’obligation faite de parler, toujours, de répondre présent, toujours, car il y a des questions, car il y a des appels, toujours, qui ne s’arrêtent pas de meurtrir le silence qui dort au fond de lui, le beau silence, le silence somnambule. La joie que c’est pour lui, de s’abstraire, d’ouvrir un livre, d’en finir avec toutes sollicitations, avec toutes compagnies, avec tous liens approximatifs. Purification. Entrée en lecture. Entrée en rêverie. Purification.

Lisant, non pas pour savoir, non pas pour apprendre, pour accumuler, pour entasser, pour acquérir. Non, rien de tout cela. Lisant bien plutôt pour oublier, pour se déprendre, pour perdre, pour se perdre. Redevenant seul, infiniment seul.

Assez seul pour ne pas l’être jamais

Les livres établissent les coordonnées, tracent les cartes d’une contrée déserte, vouée à l’amour et aux herbes folles, traversée par des bêtes sauvages et douces, en quête de point d’eau, en quête du point d’eau du sommeil.

Ce toucher des mots, cette irradiation de la voix qui dans l’âme engourdie du lecteur détectent des nappes d’eau vive, des sources de feu: les vrais écrivains sont des sourciers. Des guérisseurs. La main magnétique de celui qui écrit se pose sur le cœur à nu du lecteur, résorbe la fièvre, change le sang en eau.
(Souveraineté du vide, Fata Morgana 1985-Gallimard 1995, pp. 16-17)

Il bambino, il lettore, preso nell’apprendistato insonne della vita in società, tenuto in questa stupidità generale dall’obbligo di parlare, sempre, di rispondere presente, sempre, perché ci sono domande, perché ci sono richiami, sempre, che non smettono di ferire il silenzio che dorme dentro di lui, il bel silenzio, il silenzio sonnambulo. Che gioia per lui distrarsi, aprire un libro, lasciare andare le sollecitazioni, le compagnie, i legami approssimativi. Purificarsi. Entrare nella lettura. Vagare nel sogno. Purificarsi.

Leggere, non per sapere, non per imparare, non per accumulare, per ammassare, per acquisire. No, nulla di tutto ciò. Leggere piuttosto per dimenticare, per liberarsi, per perdere, per perdersi. Tornare solo, infinitamente solo.

Abbastanza solo per non esserlo mai.

I libri stabiliscono le coordinate, disegnano le mappe di una contrada deserta, votata all’amore e alle erbe folli, attraversata da animali selvaggi e dolci , in cerca di un punto d’acqua, in cerca del punto d’acqua del sonno.

Questo tocco delle parole, questa irradiazione della voce che nell’anima intorpidita del lettore rivela falde d’acqua viva, fonti di fuoco: i veri scrittori sono dei rabdomanti. Dei guaritori. La mano magnetica di colui che scrive si posa sul cuore nudo del lettore, riassorbe la febbre, tramuta il sangue in acqua.
(Traduzione di Maddalena Cavalleri con il sostegno psicologico, affettivo e letterario di Lorenzo Gobbi)


Gli spazi vuoti, che caratterizzano la maggior parte dei libri meditativi di Bobin, sono l’espressione concreta di questo vuoto. Una pausa necessaria. Un ritirarsi della parola. Uno spazio bianco, incontaminato.

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